La psicologia dello sport nella terza età: possibilità e benefici.

B-Skilled: psicologia dello sport e della performance La psicologia dello sport nella terza età: possibilità e benefici. Torino terza età sport psicologia sportiva psicologia dello sport over 65 mental training atleti master anziani allenamento mentale Il 19 ottobre 2009 si sono conclusi a Sydney i World Masters Games, le Olimpiadi dei Centenari. Contro ogni stereotipo che vede l’anziano come sulla via del declino psicofisico alla manifestazione si sono presentati più di 28.000 partecipanti provenienti da 95 paesi, praticanti 28 differenti discipline sportive.
L’accesso a questi giochi era consentito a chiunque, sportivo o semplice appassionato, avesse un’età compresa tra i 35 e i 100 anni.
E così si sono sentite le storie di personaggi come Ruth Frith atleta di 100 anni, oppure Margo Bates, nuotatrice 98enne, o ancora Carl Hebel, di soli 69 anni, che ha camminato 1100 chilometri per raggiungere Sidney dalla sua città di provenienza, Gympie nel Queensland.
E la cosa più bella è che al termine dei Giochi è stata alzata la bandiera della nostra città che ospiterà nel 2013 i Torino 2013 World Masters Games.
Questo evento non è sicuramente isolato perché sempre più spesso si sente parlare di sport e terza età. E’ ormai noto che l’attività fisica e motoria porti dei benefici comprovati sia a livello fisico che a livello psicologico nelle persone anziane. L’incremento del numero degli anziani praticanti regolare attività motoria e sportiva è in continua crescita.
E in questa crescita, sempre più spesso troviamo simpatici ultra 70enni che non si accontentano di fare la semplice passeggiatina nel parco sotto casa ma si impegna in competizioni agonistiche, al pari dei loro colleghi atleti più giovani.
Perché questo fenomeno e in che modo la psicologia dello sport può essere utile in questo campo?
E’ stato studiato che lo sport nella popolazione anziana ha alcuni effetti primari a livello psicologico, tra i quali sicuramente l’aumento della capacità di socializzazione e l’incremento del senso di autostima e autoefficacia nelle persone praticanti. Inoltro lo sport negli anziani pare essere un ottimo strumento di prevenzione per i disturbi depressivi, abbastanza frequenti nella terza età. Questi sono soltanto alcuni degli effetti positivi che l’attività sportiva induce indirettamente nella psiche umana.
Ma il dato interessante, che viene dalla pratica sul campo come psicologi dello sport, è osservare l’aumento di atleti “master” che si rivolgono a noi per migliorare la propria performance. Atleti a tutti gli effetti che decidono di impegnarsi in un percorso di allenamento mentale da affiancare al quotidiano allenamento fisico.
Ovviamente ciò che cambia, rispetto ai loro colleghi più giovani, riguarda il tipo di obiettivo che essi decidono di raggiungere. Salvo in rari casi l’atleta master ricerca un obiettivo di prestazione più che un obiettivo di risultato. In altre parole è spinto dal desiderio di migliorare se stesso in un processo che passa attraverso lo sport.

E questo messaggio è molto positivo soprattutto per chi come me ha iniziato la sua attività come neuropsicologa dell’invecchiamento, a contatto con anziani che purtroppo non godono di piena salute. Fino a pochi anni fa era ancora ampiamente diffuso lo stereotipo dell’anziano malato che oramai non può più pretendere niente dalla vita perché il suo tempo è passato.
Vedere persone impegnate a 70 anni in un percorso di psicologia dello sport, alla ricerca della loro migliore performance, è senza dubbio un segnale di quanto siano infondati alcuni pensieri rispetto alla terza età.
Il percorso di allenamento mentale che uno sportivo “master” sviluppa insieme allo psicologo dello sport inizia da una precisa definizione degli obiettivi da raggiungere. In questa fase, per la determinazione dell’obiettivo stimolante ma raggiungibile, inevitabilmente si deve fare i conti con le limitazioni fisiche che un anziano ha rispetto ad un atleta di 30 più giovane. Ma questo punto diventa semplicemente un dato di fatto e non certo un limite.
Dopodichè, come in ogni processo di allenamento, l’atleta master viene accompagnato dallo psicologo in un percorso fatto di esercizi pratici in cui impara a conoscere meglio sé stesso e il funzionamento della propria mente.
Impara ad allenare la concentrazione (peraltro uno degli aspetti cognitivi che fisiologicamente si deteriorano nella fase anziana), inizia a riscoprire i propri punti di forza (che la società circostante, e a volte anche le famiglie stesse, non sempre mettono in evidenza) e comprende come gestire al meglio le energie (che nella senescenza tendono a ridursi).
Un percorso di allenamento mentale che tiene conto delle peculiarità dei soggetti anziani ma non fa sconti perché alla fine la verifica del lavoro arriva per tutti: se il percorso ha funzionato bene i miglioramenti sono visibili e quantificabili.
La cosa più interessante è che questo processo di allenamento mentale, con i principi che lo costituiscono, può essere esportato in altri ambiti di vita, in tutti quelli in cui la persona è posto davanti alla necessità di dare il meglio di sé.
Una delle storie più belle della mia esperienza mi fu regalata da un mio paziente parkinsoniano che, in uno stadio già avanzato di malattia, decise di andare a correre la maratona di New York. Insieme ad altri colleghi parkinsoniani partirono e terminarono la maratona in più di 7 ore di marcia, fermandosi per assumere regolarmente le loro medicine. Ma la soddisfazione più grande per loro era di essere riusciti a superare una grande sfida: dimostrare che anche la malattia può essere affrontata con spirito di competizione senza arrendersi di fronte alle difficoltà.

In sintesi la psicologia dello sport nel mondo degli anziani può avere principalmente due funzioni:

  • l’allenamento mentale vero e proprio, come sopra descritto;
  • la sensibilizzazione e la promozione all’attività sportivo/motoria con particolare attenzione alle connessioni psicofisiche di tale esperienza.

In conclusione, riportiamo una curiosità, tratta da una ricerca ISTAT del 2006 sulla pratica sportiva in Italia. Dai dati emersi emersi in questa ricerca pare che alcune discipline sportive siano maggiormente predilette dagli ultrasettantenni. Ed è così che la caccia, la pesca, le bocce, il bowling e il biliardo sono stati a pieno titolo definiti “sport da vecchi”!.