Leadership e genere

B-Skilled: psicologia dello sport e della performance Leadership e genere Torino psicologia aziendale leadership donne leader Il concetto di analisi di genere si riferisce all’analisi dei ruoli, delle relazioni e dei processi, focalizzata sulle disuguaglianze tra uomini e donne nel potere, e soprattutto nel lavoro.

Ann Oakley (1974) è stata tra le prime a distinguere tra sesso e genere, allo scopo di differenziare tra le differenze biologiche, e quelle che dipendono dal ruolo sociale sull’identità di maschio e femmina. Prima degli anni 70′ il concetto di genere era virtualmente ignorato nelle organizzazioni, ad eccezione fatta per qualche autore. Negli ultimi decenni, invece l’interesse dei teorici del comportamento organizzativo e non solo, cambia radicalmente: assistiamo infatti, come vedremo in questo paragrafo, ad un’esplosione di ricerche. Gli studi sempre più numerosi sul lavoro delle donne mostrano che il genere è una variabile importante per spiegare i comportamenti organizzativi dei soggetti, perché influenza le risorse che essi controllano, le logiche interattive in cui si inseriscono, gli obiettivi che perseguono e il senso che attribuiscono alle loro azioni.

La nostra attenzione è rivolta ad indagare il rapporto che c’è tra il genere e lo stile di leadership, cercando di analizzare come le donne appaiono nell’elicitare il loro stile di leadership e, se i pregiudizi che riguardano il genere sono collegati anche alla leadership. Se ciò trovasse una conferma potrebbe determinare come si diventa leaders, come i leaders sono percepiti e come sono valutati. Il basso numero di donne in posizioni di leadership, comparato al numero di uomini, è stato già analizzato alle Nazioni Unite, ed associato al pensiero tradizionale e alla presenza di stereotipi di genere che contribuiscono così a costruire una teoria implicita di personalità (Nazioni Unite 1999) (Fortune 2002). Ma vediamo la letteratura.

L’impostazione di Cook e Rothewell (2000 p.3), è basata su una differenza di base, gli autori credono infatti fermamente che entrambi i sessi, maschile e femminile, possano portare in modo considerevole, ma differente, importanti punti di forza al ruolo della leadership, uomini e donne scelgono infatti di condurre e di seguire gli altri in differenti modi.

Entrambi possono apprendere i comportamenti, gli attributi e le competenze dell’altro, e questo, secondo gli autori, porta benefici nel luogo di lavoro e nella vita personale sia dei leaders sia dei seguaci. Capire come gli uomini e le donne cercano di farlo è un importante passo per il miglioramento del processo stesso. La differenza tra uomini e donne, non deve suonare come discriminatoria, ma al contrario come la base che conduce a formulare un modello di leadership che sappia riunire i punti di forza dell’uno e dell’altro sesso (2000).

L’approccio che adoperano è di tipo sistemico, uomini e donne non sono identici nella loro innata abilità di leadership: ognuno di noi è sottoposto a innumerevoli influenze, famiglia, religione, classe sociale, professione, età, educazione che vanno ad interagire con l’eredità genetica. Ogni essere umano in sostanza è unico nel proprio profilo di personalità. Gli attributi della leadership, sebbene acquistati sia in natura (geni) sia nel nostro contesto di appartenenza (cultura), in ogni caso possono essere sviluppati o trasformati dall’apprendimento e dalla pratica (2000).

La differenza di ruolo, tra uomo e donna, si riduce alla procreazione. Ogni altro tipo di differenza non è assoluta, ma statistica. Il ruolo maschile è comunemente associato con il successo fuori di casa, inoltre con l’indipendenza, l’azione, la competitività e la durezza. Il ruolo femminile invece, con il prendersi cura della casa, dei bambini e delle persone in generale. Al contrario di quello maschile il ruolo femminile è associato alla costruzione delle relazioni e alla tenerezza. Hofstede (1980), in particolare, ha adoperato il concetto di mascolinità e femminilità per definire la cultura delle nazioni. Nella cultura femminile i valori dominanti sono prendersi cura degli altri. Norvegia, Svezia, Danimarca, Paesi Bassi sono ai primi posti per quanto riguarda questi valori. Nella cultura maschile invece, i valori dominanti sono il successo materiale e il progresso. Stati Uniti e Giappone sono i rappresentanti primari in questa categoria.

Anche nella Leadership quindi, maschile e femminile creano dei differenti modelli di ruolo (Cook e Rothewell 2000): i leaders maschili sono assertivi e decisivi, nel senso che guardano i fatti per prendere un decisione piuttosto che intraprendere un dialogo per trovare una soluzione a un problema, i leaders femminili sono meno visibili, intuitivi piuttosto che decision-makers, e sono più propensi a ricercare il punto di vista altrui. I leaders sono altrimenti influenzati dalla cultura della loro organizzazione con la quale lavorano. Ogni organizzazione ha una cultura della leadership che può essere anch’essa descritta come femminile e maschile (2000 p.178) (Itzin, 1995). Questo vuol dire in pratica che i leaders operano entro i confini della loro cultura organizzativa. Essere esposti ad una cultura organizzativa differente dal proprio ruolo sociale per alcuni può significare fare un’esperienza di “culture shock” (Cook e Rothewell 2000). Malgrado ciò una donna può apprendere a funzionare efficacemente come leader in una cultura prettamente maschile e viceversa anche l’uomo: da ciò la naturale conseguenza della relatività del termine maschile e femminile. Relatività che riflette solo che i sessi possono tranquillamente deviare da determinate convenzioni.

Passando in rassegna molti studi psicologici, ma anche biologici (soprattutto nelle differenze delle onde cerebrali e nei livelli di attenzione prolungata, 2000 p.66) Cook e Rothewell arrivano a formulare una loro definizione di leadership che riflette l’evoluzione delle organizzazioni e delle comunità (2000, p. 19). Infatti prima del 1960 il concetto della leadership era basato sulle azioni di leaders che avevano avuto un ruolo importante nella storia. Questi leaders erano per la maggior parte uomini e si credeva che leader si nasceva, piuttosto che diventare. Questo punto di vista aveva trovato la sua collocazione naturale nelle organizzazioni che avevano una struttura gerarchica. La leadership trasformazionale, invece, basata sulla relazione e sulla conversazione, trova la sua ragion d’essere negli anni 90, poiché si adattava meglio ad un’organizzazione più orizzontale. Le donne, con la loro maggior capacità di comunicazione, ascolto, e interazione trovano più facile agire in una struttura organizzativa meno gerarchica.

Ma la sfida oggi è riconoscere qual è la missione e poi inventare un prodotto, un servizio, o una combinazione tra le due, riempire e identificare un vuoto. In un clima competitivo, i leaders hanno bisogno di ogni persona a qualsiasi livello nell’organizzazione per esserlo. La definizione (2000) è insomma una combinazione tra un modello più femminile e relazionale: “una relazione reciproca tra quelli che scelgono di condurre e quelli che decidono di seguire” (Kouzes, Poster 1995) e uno maschile più orientato al risultato: “la leadership è il conseguimento di risultati attraverso gli altri”. (Garnett)

Unendo assieme le definizioni il costrutto così diventa: “costruire una relazione reciproca tra quelli che scelgono di condurre e quelli che decidono di seguire in modo da raggiungere un risultato comune condiviso” (Cook e Rothewell 2000). Per costruire una metodologia completa sulla leadership gli autori si basano sull’evidenza empirica per estrapolare i punti di forza di entrambi i sessi (fig.1).

Tradizionale “vecchia leadership”, maschile

1. Azione

2. Compito

3. Pensiero Analitico

4. Competizione

5. Assumere dei rischi

6. Comandante

Moderna “nuova leadership”, femminile

1. Connessione

2. Relazione

3. Pensiero solistico

4. Capacità associativa

5. Paradosso

6. Coaching

In definitiva, uomini e donne sono portatori di differenti prospettive, pensieri, attributi e comportamenti nell’azione di leadership, e ognuno ha molto da imparare dal sesso opposto. Il leader del futuro, che sia uomo o donna, ha bisogno di tutti i punti di forza, se vuole neutralizzare i punti di debolezza che ogni sesso porta nella propria equazione di leadership.

Da una prospettiva evoluzionista, ma ad un risultato simile arriva Meredith Belbin (2001). L’autrice analizza infatti l’eredità genetica del comportamento umano in rapporto al genere, individuando tre grandi fasi. Nella prima fase (Primaeval society), dove gli insediamenti erano delle piccole comunità, esisteva un bilanciamento tra uomo e donna: gli uomini erano legati insieme da diversi ruoli nella caccia, e donne e uomini erano legati dalle loro interazioni interpersonali, in più la divisione dei ruoli era nell’interesse comune della comunità. La minor forza fisica della donna era controbilanciata dalla loro abilità comunicativa e relazionale. Le donne potevano amministrare senza l’uso del potere. Ciò si sostanziava in un intricato sistema sociale che presupponeva un consenso. L’equilibrio però si interruppe nel momento in cui la popolazione cominciò a crescere e le risorse disponibili non riuscivano più a soddisfare le esigenze della popolazione stessa. L’evoluzione richiedeva ora di prendere una nuova direzione e cioè la conquista di nuovi territori (Age of Migration). Il risultato in definitiva dipendeva dalla capacità dell’uomo di esercitare e competere per il potere contro altri gruppi.. Durante questa seconda fase, lo status e il contributo personale della donna erano inversamente proporzionali alla conquista del potere, essendo deprivate della loro funzione economica e politica (religiosa). Una volta conquistati nuovi territori l’esercizio del potere era diretto verso il mantenimento dello status contro pericoli interni (Age of Power). Nel momento in cui l’esercizio del duro potere comincia a declinare,perché non assicurava più un vantaggio evolutivo, la rilevanza sociale della donna riacquista importanza. In questa terza fase (Age of Accomadation) l’avanzamento della donna nelle posizioni occupate dagli uomini complica comunque l’ordine sociale e politico del nostro tempo; (2001 p.90) politicamente le donne all’inizio ricominciano ad esercitare la loro influenza non nei grandi gruppi (dominati dagli uomini), ma verso piccoli gruppi. Col passare del tempo le radici genetiche della prima era ricominciano a riapparire. Nell’attuale era la maggior parte dei senior managers sono geneticamente e culturalmente un prodotto dell’Age of Power. I P(ower)-type-managers, portano con sé molte virtù: essi sono infatti dei coraggiosi decision-makers, accettano la responsabilità per qualsiasi cosa accada sotto la loro egida e cercano come punti di riferimento chi mostra lealtà e obbedienza. Sono chiaramente persone orientate all’obiettivo. In contrasto, gli A-type managers sono una risposta all’Age of Accomodation: essi sono più esseri sociali e meno sensibili alla competizione, meno interessati a imporre la propria individualità, si trattengono dalla tentazione di un dominio personale e preferiscono diffondere agli altri la responsabilità e ogni successo. La loro attenzione è di generare dei processi autonomi, in cui le persone sono meno dipendenti da direzioni esterne, cercano inoltre di stabilire ma miglior forma dei processi decisionali, all’interno di un sistema sostenibile e praticabile e naturalmente ascoltano i messaggi che provengono dal sistema stesso. Gli A-type managers condividono la responsabilità più che i P-type managers, questo perché le decisioni condivise con i colleghi aumentano il coinvolgimento e incrementano la fiducia in merito alle decisioni da prendere (2001 p.162). P-type managers e A-type managers adottano degli stili diversi, ma entrambi gravitano attorno ad aree dove i propri talenti possono essere esibiti ai fini del miglior vantaggio possibile. Mentre il primo tipo riflette uno stile maschile, il secondo invece una modalità più femminile. Belbin M. (2001) affermava che nell’ultimo periodo le donne si erano riappropriate di una certa fetta della vita politica ed economica, e che comportava comunque un nuovo bilanciamento di genere.

Più specificatamente Powell (1990 p.68), cerca di dare una risposta al nuovo volto nel management della donna, attraverso un articolo che riassume in sintesi le ricerche dagli anni 70 in poi, anni in cui la presenza femminile comincia a essere importante e significativa. La domanda centrale è se uomini e donne leaders differiscono nella qualità personali che portano nel loro lavoro. La risposta sembra essere affermativa, soprattutto per le donne che hanno qualità uniche che le rendono appropriate nella loro leadership Invece di adattarsi ad un modello maschile manageriale di successo, enfatizzando qualità come indipendenza, competizione, vigore, e pensiero analitico, Grant J.1988 pp.56-63) dimostra che le organizzazioni enfatizzano qualità femminili come il senso di affiliazione e attaccamento, la cooperazione, l’emozionalità e l’educazione.

Powell (1988) conduce inoltre un interessante studio sulle riviste che parlano di differenze sessuali nel management secondo una griglia che raccoglie quattro tipi possibili di dimensioni: comportamento, motivazione, coinvolgimento

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Se ci riferiamo alla dimensione del comportamento, la differenza sessuale dei ruoli suggerisce che le donne sono più orientate alle persone, mentre gli uomini molto di più sull’obiettivo da raggiungere, ma lo stereotipo non è supportato dai risultati degli studi. Esiste una differenza significativa sull’efficacia, ma in studi più “ecologici”, la differenza si riduce notevolmente.

Esistono delle possibili differenze nelle risposta verso dipendenti che realizzano una performance non adeguata (Dobbins, Platz 1986 pp118-127). Gli uomini possono seguire una norma di equità basando la risposta per esempio ad una mancanza di capacità o di sforzo. Le donne invece adoperano una norma di uguaglianza, trattando tutta la performance allo stesso modo. Anche da un punto di vista della strategia adoperata per influenzare i dipendenti uomini e donne differiscono, ma nel momento in cui le donne acquisiscono più sicurezza sul lavoro le differenza diminuisce.

Le donne sono motivate quanto gli uomini. Alcuni studi hanno trovato che donne e uomini ottengono lo stesso punteggio in test psicologici sulla motivazione che predicono il successo manageriale. Non c’è accordo in letteratura circa il fatto se le donne e i maschi hanno lo stesso grado di coinvolgimento (1986).

Per quanto riguarda il comportamento del gruppo nei confronti del leader maschio o femmina esistono degli studi interessanti che riferiscono che una volta che una persona ha lavorato sia con un uomo sia con donna con posizione di leadership, gli effetti degli stereotipi spariscono e i leaders sono trattati come singoli individui, piuttosto che come rappresentanti del loro sesso.

In sostanza da questo studio (1990) si deduce che non ci sono molte differenze tra i sessi nello stile di conduzione tra uomini e donne: le differenze sono assenti nel comportamento orientato all’obiettivo, nel comportamento orientato alle persone, nell’efficacia e infine nelle risposte delle persone delle persone con cui lavorano. Le differenze stereotipiche in alcuni tipi di comportamento manageriale e in alcuni studi di laboratorio favoriscono i maschi. In altro modo, quando appaiono delle differenze nel profilo motivazionale, esse sono non stereotipiche e favoriscono le donne. Non ci sono quindi differenze tra bisogni, valori e stili di leadership tra donne e uomini managers. Le differenze che sono state riscontrate sono poche, e riguardano più effetti di laboratorio che studi sul campo.

Sempre Powell (1988) si è chiesto se in definitiva esisteva uno stile migliore dell’altro. Per rispondere a questa domanda, ha tracciato le origini delle varie teorie sulla leadership, ed è emerso che i comportamenti favoriti erano quelli che avevano un collegamento con un modello stereotipo di ruolo maschile. Le teorie sulla leadership attuali, di fatto, sono basate primariamente non solo su studi di entrambi i sessi, ma anche adoperano stereotipi su donne e uomini, che potenzialmente, come abbiamo visto possono essere fuorvianti. Questo nuovo approccio, che combina comportamento maschile e femminile, è chiamato androgino.

Il termine androgino significa letteralmente uomo-donna e deriva dall’antica Grecia: la radice infatti andr- significa uomo, mentre gin- significa donna. Il termine descrive la flessibilità del ruolo di genere. Un individuo androgino integra infatti sia gli aspetti maschili, sia quelli femminili. Essi sono così capaci di attivare il comportamento che sembra più appropriato in una data situazione. I loro comportamenti possono essere non coerenti con il loro tradizionale ruolo di genere. Per esempio, l’androgino uomo o, l’androgino donna possono essere entrambi assertivi e teneri. Essi sono quindi capaci di attingere dalla matrice femminile o dal comportamento maschile, basato non sulle norme del ruolo di genere, ma piuttosto su che cosa loro possono dare in una situazione specifica per renderla più soddisfacente e confortevole.

Sargent (1981) crede infatti che lo stile di management più efficace sia lo stile androgino: i leaders devono essere contemporaneamente competenti e sapersi prendere cura. Non tutti comunque sono d’accordo: secondo Bem (cit. in Foegen 1994 p.99) infatti, il concetto di androgino contiene una contraddizione interna e, di qui, i semi della sua stessa distruzione. L’androgino presuppone necessariamente che, i concetti di maschilità e femminilità, abbiano concetti distinti e irriducibili. Una volta che verranno assorbiti dalla cultura attraverso il concetto unico di androgino, i concetti di maschilità e femminilità cesseranno di avere tali significati e, allora, il concetto di androgino dovrà essere oltrepassato.

Sempre sulla differenza di genere, il lavoro di Alimo Metcale (1995) mostra che donne in posizioni di leadership sono motivate dagli obiettivi dell’azienda piuttosto che dalle promesse di promozione, e sono molte più interessate a posizioni che comportano uno sviluppo personale. Questa tendenza indica che molte donne sono interessate al cambiamento e alla trasformazione come sviluppo di carriera. A questo riguardo Vinnicombe (1987) ha dimostrato come le donne managers appaiono differenti dai loro colleghi uomini adoperando il Myers Briggs Type Indicator (MBTI) e differenziando tra tradizionalisti, catalizzatori e leaders visionari. I risultati mostrano una preponderanza di tradizionalisti tra gli uomini (60% uomini, 29% donne), mentre le donne si distribuiscono di più lungo un approccio visionario e catalizzatore. I visionari sono i leader più strategici, mentre i catalizzatori eccellono in relazioni pubbliche al lavoro (1987).

Riassumendo possiamo dividere la letteratuta in dui importanti filoni: quella degli experts management e quella di scienziati sociali.

Gran parte della letteratura del management ricorre al consueto stereotipo delle caratteristiche psicologiche delle donne che si suppone resista anche all’attenuarsi dello stereotipo che lo ha creato, cioè la “centralità” della famiglia e ciò che comporta. Anche Sargent (1981) suggerendo di adottare lo stile androgino, traendo cioè il meglio delle qualità dell’altro sesso per diventare più efficaci in ambito organizzativo, ci dice che in realtà la base è costituita da strutture cognitive che sono diametralmente opposte. Molti studi sul campo invece, da parte soprattutto di scienziati sociali (Nieva, Gutek, Kanter, Bartol, Martin), annullano le differenze che sembrano permanere in alcuni studi di laboratorio meno “ecologici”. Esiste infine, una certa tendenza ad una forma più flessibile di leadership, che prevede un salto quantico dall'”essere su” all'”essere con” e risente del cambiamento del mercato e del cambiamento organizzativo. In questa nuova tendenza la donna conquista posizioni di potere tradizionalmente in mano agli uomini, ma rispetto al passato, dove adottava stili più maschili in una cultura tutto sommato che riconosceva quei tratti come idealtipici, ora la donna porta “se stessa” invece che adottare un ruolo. Lo stile transazionale infatti, era diretto a rinforzare prestazioni positive dei dipendenti o indovinare ed enucleare prestazioni negative, in contrasto con lo stile trasformazionale che cerca di sviluppare relazioni piuttosto che confermare o stabilire gerarchie. Le donne, possiamo già anticipare, correlano in maniera significativa con questo secondo tipo di stile. Rimandiamo al paragrafo sulla leadership trasformazionale per gli approfondimenti.