Ipnosi e Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC): un’integrazione possibile? Seconda parte

B-Skilled: psicologia dello sport e della performance Ipnosi e Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC): un'integrazione possibile? Seconda parte terapia cognitivo comportamentale TCC metodologia ipnosi gladys bounous cbt Continua la rassegna di articoli per spiegare le connessioni tra l’ipnosi e la TCC. In questo secondo articolo vediamo insieme i modelli teorici che spiegano l’ipnosi in ottica cognitivo-comportamentale, attraverso alcune domande.
L’ipnosi e la terapia cognitivo comportamentale condividono, come abbiamo visto nel precedente articolo, tecniche e posizioni teoriche simili. Ad esempio l’utilizzo del rilassamento o delle procedure immaginative è comune sia nell’ipnosi che nella TCC. I ricercatori hanno mostrato, inoltre, anche delle similitudini tra le strategie cognitive e le strategie di ipnosi Ericksoniana:  una delle tecniche più comuni è proprio il “reframing”.
Vediamo insieme 4 domande fondamentali per ogni terapeuta che voglia integrare l’ipnosi nella sua pratica clinica.

1) Esiste un modello clinico per l’integrazione fra  ipnosi e terapia cognitivo comportamentale?

  I ricercatori hanno descritto diversi modelli per l’integrazione dell’ipnosi con l’approccio cognitivo comportamentale:

  • Cognitive skill Model (Diamond 1989):  Focalizza l’attenzione sui processi cognitivi volontari e involontari. Questo modello non rifiuta totalmente il concetto di trance  ipnotica o stato alterato di coscienza. L’ipnotizzabilità è considerata un’abilità che può essere appresa e non un tratto di personalità. Le tecniche cognitive comportamentali, come ad esempio l’arresto del pensiero e le auto istruzioni, sono spesso utilizzate  per incrementare le abilità ipnotiche.
  • Cognitive Developmental Model (Dowd 2000):  Deriva da un approccio costruttivista e considera due tipi di conoscenza, tacita ed esplicita. La conoscenza tacita si sviluppa prima dello sviluppo del linguaggio, mentre la conoscenza esplicita può essere modificata attraverso il linguaggio ed è associata alla terapia cognitiva. La conoscenza implicita, d’altro canto, è considerata meno sensibile al cambiamento attraverso il linguaggio ma può essere sviluppata attraverso delle tecniche terapeutiche che focalizzano l’attenzione sulle immagini e sulle emozioni. Secondo questo approccio esistono quindi due tipi di ristrutturazione cognitiva che si possono fare attraverso l’ipnosi: la ristrutturazione cognitiva di eventi (pensieri automatici) e la ristrutturazione cognitiva degli schemi. L’ipnosi pertanto può essere molto utile per modificare la conoscenza tacita riducendo le resistenze al cambiamento.
  • Cognitive Behaviour Hypnosis Model (Kirsch 1999):  In cui si considera l’ipnosi come un intervento aggiuntivo agli interventi cognitivi comportamentali. Questo modello rifiuta  l’idea dell’ipnosi come stato alterato, abbracciando così la posizione “no-state”. In questa chiave di lettura l’ipnosi è definita come una suggestione di cambiamento nell’esperienza personale del comportamento attraverso un’interazione tra cliente e terapista. L’enfasi e quindi sull’interazione sociale, includendo le aspettative e le convinzioni del paziente. In questo modello interventi di tipo il rilassamento e l’imagery sono considerati molto simili alla procedura ipnotica, quasi da essere indistinguibili. Questo approccio suggerisce: “per il terapeuta cognitivo comportamentale l’ipnosi semplicemente una nuova etichetta era per chiamare qualcosa che lui ordinariamente fa”. Questa teoria si sviluppa anche a partire dagli studi effettuati sull’effetto placebo negli anni 80-90 dello scorso secolo.
  • Sarbin e la prospettiva socio-cognitiva.  L’autore focalizza l’attenzione sull’assunzione di ruolo che il soggetto ipnotizzato a durante l’esperienza ipnotica, traendo origine dai concetti della psicologia sociale. Secondo questa prospettiva il soggetto agisce “come se” recitasse un ruolo preciso. Per assumere questo ruolo importante che il soggetto abbia una motivazione positiva, una tre concezione del ruolo dell’ipnotizzato e la capacità di immaginazione attiva per poter recitare “come se”. In altre parole come se le persone ipnotizzate cambiassero ruolo, come degli attori.
  • Barber  e il ruolo dell’attitudine positiva verso l’ipnosi e dell’immaginazione attiva coinvolta nel processo di suggestione.  Questo gruppo di ricercatori hanno condotto diversi studi in cui hanno comparato tre gruppi di persone diversi: soggetti che hanno ricevuto una suggestione ipnotica tradizionale, soggetti che hanno ricevuto istruzioni motivazionali al compito e soggetti che non avevano ricevuto né induzione né istruzioni motivazionali ma semplicemente state chiamate ad immaginare. I risultati di questo esperimento furono che non c’erano significative differenze tra i primi due gruppi.  Secondo questo approccio dunque ciò che rende efficace l’ipnosi sarebbe come viene presentata la situazione ipnotica, come vengono fornite le istruzioni ipnotiche e il tono della voce in cui le suggestioni vengono fornite. Questi antecedenti sarebbero dunque la causa della risposta ipnotica, che si manifesterebbe automaticamente come conseguenza. Barber  concluse dunque che gli effetti delle suggestioni ipnotiche non sono attribuibili a uno stato di trance ipnotica ma piuttosto a un set cognitivo positivo che può essere sintetizzata dall’acronimo coniato da Aroaz, TEAM (Trust, Expectation, Attitude, Motivation).

Barber  classifica i soggetti ipnotici in base al loro comportamento durante l’induzione:

  • negativi: quelli che pensano cioè che non funzionerà;
  • passivi: quelli che adottano una posizione stiamo a vedere e si limitano semplicemente a seguire le istruzioni dell’ipnotista;
  • attivi: quelli che ripensano le suggestioni e attivamente immaginano le cose descritte e suggerite dall’ipnotista.  Questi ultimi soggetti possono essere ulteriormente diviso in due sottogruppi:
    • soggetti naturalmente predisposti;
    • soggetti allenati

2) L’utilizzo dell’ipnosi richiede necessariamente l’accettazione del costrutto di inconscio?

Il termine inconscio è chiaramente un punto di controversia tra l’approccio comportamentale e l’approccio dinamico. Storicamente l’ipnosi, nell’approccio dinamico, era considerata un ponte privilegiato per accedere all’incontro delle persone. Chiaramente questa posizione si scontra con i presupposti della teoria cognitivo-comportamentale.

Dollard e Miller (1950)  traducono il tradizionale pensiero psicanalitico in una teoria dell’apprendimento. E si descrivono l’inconscio come il prodotto dei rinforzi. Le persone non hanno consapevolezza dell’impatto dei rinforzi sul loro comportamento e pertanto i comportamenti inconsci possono essere considerati il risultato di un condizionamento subito prima dello sviluppo del linguaggio. Successivamente i teorici comportamentali  spingeranno ancora di più per sottolineare gli aspetti essenziali della teoria dell’apprendimento. I terapisti cognitivi comportamentali hanno rivisitato il concetto di “processo inconscio” attraverso il lavoro di Beck (1970). Beck  ci parla di processi cognitivi che sono spesso automatici e quindi fuori dalla consapevolezza soggettiva. Parliamo dunque di:

  • Eventi cognitivi o pensieri automatici che sono il frutto dell’automatizzazione di un apprendimento;
  • Processi cognitivi  che si riferiscono al processi di acquisizione dell’informazione, memorizzazione e rieducazione dei ricordi che, in qualità di attività meta cognitive, sono anche se è automatica
  • Strutture cognitive  intese come schemi cognitivi. Uno schema è un qualcosa di strutturato all’interno della persona che agisce in modo automatico e le persone spesso sono inconsapevoli dell’influenza degli schemi nell’emissione dei loro comportamenti.

3) Ci sono ricerche che supportano l’uso dell’ipnosi in aggiunta alla terapia cognitivo-comportamentale?

La questione è stata indagata da una meta-analisi  di 18 studi che comprendeva i seguenti problemi: obesità, dolore, insonnia, ansia, fobie, performance, ulcera e public speaking (Kirsch, Montgomery e Sapirstein 1995).  Questi studi includevano le seguenti tecniche cognitive comportamentali: il rilassamento, covert modeling, imagery,  auto monitoraggio, suggestioni di coping,  auto  rinforzo, desensibilizzazione sistematica, controllo dello stimolo e ristrutturazione cognitiva. Questi studi si basano sulla prospettiva “nonstate”  che ipotizza che l’ipnosi possa aumentare i risultati della terapia attraverso il suo effetto sulle convinzioni e aspettative del cliente.  Un aumento significativo dell’efficacia è stato riscontrato nei trattamenti in cui le tecniche cognitivo-comportamentali erano abbinate all’ipnosi, con una differenza di circa il 70% rispetto ai clienti che ricevettero un trattamento non ipnotico (Kirsch, 1995).

4) Il clinico cognitivo comportamentale può raggiungere gli stessi risultati senza l’uso dell’ipnosi?

Innanzitutto l’ipnosi deve essere considerata una tecnica che facilita il processo di psicoterapia e abbiamo visto che molte tecniche  ipnotiche sono simili o sovrapponibili alle tecniche cognitive comportamentali.  Quindi potenzialmente la risposta è “si”, tuttavia è possibile capire laddove l’uso dell’ipnosi sarebbe effettivamente auspicabile nel trattamento individuale.

5)Quando il clinico cognitivo comportamentale decide di usare l’ipnosi?

L’assessment  iniziale ha due obiettivi principali: ottenere una lista dei problemi e sviluppare una formulazione del caso. La concettualizzazione del caso permette al terapeuta di strutturare interventi specifici. Il cliente può inoltre suggerire o richiedere l’utilizzo di tecniche specifiche tra cui l’ipnosi. Chiaramente  se il paziente è particolarmente interessato all’ipnosi questa tecnica deve essere tenuta in debita considerazione.

Bibliografia

  • Robertson D., “The practice of cognitive-behavioural hypnotherapy. A manual for Evidece-based Clinical aHypnosis”, Karnac, 2013
  • Diamond MJ, The cognitive skill model: an emergin paradigm for investigating hypnotic phenomena in Spanos & Chaves, “Hypnoisis: the cognitive-behavioural perspective, Prometeus, 1989
  • Dowd TE, “Cognitive Hypnotherapy”, Jason Aronson, 2000
  • Sarbin TR, “Contribution to role-taking theory”, Psychological Review, 57, 255-270, 1950
  • Sarbin TR, The construction and reconstrucion of hypnosis, in Spanos & Chaves, “Hypnoisis: the cognitive-behavioural perspective, Prometeus, 1989
  • Kirsch I., Clinical hypnosis as a nondeceptive placebo in Kirsch I, Capafons A, Cardena-Buelana E “Clinical Hypnosis e Self-regulation: cognitive behavioural perspective”, Washington APA, 1999
  • Beck AT, Role of fantasies in psychotherapy and psychopathology, the Journal of nervous and mental diseases, 150: 3-17, 1970
  • Kirsch I, Montgomery G, Sapirstein G, Hypnosis as an adjunct to cognitive-behavioural psychotherapy: a meta analysis, Journal of consulting and clinical psychology, 63: 214-220, 1995
  • Barber TX, Spanos NP, Chaves JF, “Hypnotism, imagintation e Human Potentialitie,”, Pergamon Press, 1974
  • Alford BA, Beck AT, “The integrative power of cognitive therapy”, Guilford, 1997
  • Chapman RA, “The clinical use of hypnosis in cognitive behaviour therapy”, Springer Publishing Company, 2006
  • Lynn SJ, Rhue JW, “Theories of hypnosis”, the guilford press, 1991
  • Lynn SJ, Kirsch I, “Essential of Clinicaly Hypnosis. An evidence based approach”, American Psychological Association, 2006

Articolo tradotto e sintetizzato da Gladys Bounous (psicologa, ipnologa, specializzanda in terapia cognitivo-comportamentale)