Outdoor Training Management

B-Skilled: psicologia dello sport e della performance Outdoor Training Management Torino psicologia aziendale outdoor training management outdoor training La formazione Outdoor compare in Italia intorno alla metà degli anni 90. L’impatto e l’innovazione apportati da questo metodo hanno determinato in breve un suo sviluppo piuttosto ampio e variegato. Tuttavia non di rado sono prevalse “iniziative” quanto mai improbabili basate su una preparazione psicologica “ingenua” caratterizzata dall’illusione di generare un cambiamento facendo semplicemente vivere emozioni intense a gruppi di entusiasti professionisti. Questo fenomeno ha fatto si che si generasse un certo scetticismo rispetto a questo tipo di formazione.

L’obiettivo di questo paper è in sintesi cercare di fare ordine in questa “sovrageneralizzazione” definendo specificità e principi dell’OTM (outdoor training management).

L’OT è una metodologia formativa che consiste in una serie di esercitazioni strutturate all’aria aperta, mirati a riprodurre delle esperienze soggettive e relazionali.(Capranico)

In letteratura si ritiene che Kurt Hahn sia il padre “putativo” dell’outdoor training. Ebreo tedesco, Hahn si rifugiò in Inghilterra a seguito della persecuzione nazista e fondò la Gordonstoun School, una scuola privata il cui motto ancora oggi recita: “There is more in you (than you think)”.

Una delle conseguenze del conflitto mondiale sul programma educativo di Hahn fu quella di istituire dei corsi di sopravvivenza chiamati Outward Bound Corse, inizialmente rivolti a giovani marinai con l’obiettivo di prepararli alla guerra. Immersi nella vita e nelle attività nautiche, ai partecipanti veniva richiesto di uscire dalle acque sicure, ma stagnanti del porto (comfort zone) per inoltrarsi in mare aperto (learning zone). Ancora oggi nel programma educativo della scuola esiste un corso fuori dalle “rassicuranti” mura dell’aula, nel quale i giovani si cimentano per conquistare un ambito premio denominato Duke Edinburgh Award.

I primi a cogliere le potenzialità di questa formazione furono gli Americani, i quali dopo un primo uso e consumo a scopo militare, ne intuirono la portata e la estesero ad una dimensione più prettamente relazionale, da qui la denominazione di Outdoor Training.

Al di là degli aspetti curiosi e intriganti della nascita dell’OT, una prima riflessione è d’obbligo. Gli aspetti di divertimento, viaggio, contatto con la natura offerti da questa esperienza rappresentano in realtà uno dei rischi di questo metodo che diviene spesso un prodotto ad uso e consumo di “agenzie turistiche”. Puntando su un puro aspetto “emozionale”, tour operator e improvvisati formatori propongono pacchetti che con un bel packaging attraggono potenziali clienti con la promessa di creare una business unit più coesa, produttiva, motivata e pronta a rispondere e a reagire nel breve periodo ai movimenti tellurici della variabilità organizzativa. Effettivamente in un primo momento i gruppi di lavoro migliorano il coinvolgimento emotivo e il clima. Ma, prendendo in prestito la metafora climatica, ci teniamo a ricordare che se oggi effettivamente c’è il sole, domani non si può prevedere e, ritornando al costrutto psicologico, la situazione non migliora, anzi.

Ritornando ai nostri obiettivi, sempre in letteratura si distinguono quattro modalità outdoor per la formazione: la classificazione dipende dal grado di coinvolgimento dei partecipanti e dal grado di completezza che è capace di esprimere ogni singola attività formativa.

Outdoor small techniques: più appropriatamente definite come “tecniche” outdoor, vengono adoperate all’interno di sessioni tradizionali e outdoor più lunghe. Sono molto utili per centrare l’attenzione su singole esigenze di apprendimento o molto più semplicemente come esercitazioni che non implicano una rielaborazione didattica approfondita, ma che per esempio hanno lo scopo di rompere il ghiaccio iniziale per creare un clima favorevole (warm-up).

Campi outdoor preimpostati: si tratta in questo caso di uno spazio attrezzato e appositamente dedicato a singole attività outdoor. I partecipanti si trovano a dover svolgere per esempio delle attività di Problem solving in altezza, camminando su delle funi d’acciaio stese tra alberi (ponte tibetano). L’intero perimetro è disseminato di esercitazioni preimpostate, tanto da assomigliare ad un percorso “militare”: rispetto alle outdoor small techniques il coinvolgimento dei partecipanti è maggiore ed un debriefing approfondito diventa importante ai fini di un’individuazione di modelli mentali e comportamenti da trasferire nella quotidianità aziendale.

Outdoor Training: percorso esperienziale progettato per anticipare, risolvere o rispondere ad una determinata situazione organizzativa. Questo tipo di attività è spesso inserita all’interno di lunghe e più ampie sessioni formative per portare all’attenzione dei partecipanti dinamiche di gruppo. Il coinvolgimento a questo tipo di attività, sebbene abbinato a metodologie tradizionali, risulta molto forte.

Outdoor Training Management: la differenza rispetto all’outdoor training sta nel fatto che questo tipo di attività propone di risolvere situazioni organizzative più impegnative. Tendenzialmente esiste come fatto formativo a sé, ed è la conseguenza naturale di una progettazione “ad hoc”. Lo stesso inizio della sessione formativa è accompagnato da una fase di start up, che serve a definire i contorni dell’esperienza e la presentazione della metafora che accompagnerà le attività esperienziali. Il coinvolgimento è massimo, le interazioni tra i partecipanti e gli stessi formatori sono intense. Proprio per questo risulta importante la fase di debriefing “a caldo” che permette di far decantare sensazioni, emozioni che sono fondamentali per ottenere un cambiamento consapevole e preparare i partecipanti ad una proficua fase di carry over. Le tecniche inoltre che possono arricchire l’impianto metodologico dell’OTM possono essere variegate: dall’utilizzo di film a riprese in “vivo” dei comportamenti agiti, fino a comprendere tutte le modalità outdoor precedentemente elencate.

Un secondo stop si rende di nuovo necessario. Pensare di progettare un OTM fuggendo da un’attenta e oculata analisi dei bisogni formativi rischia non solo di allontanare gli obiettivi di apprendimento, ma anche rischioso: conoscere ad esempio lo stato di salute dei partecipanti quando si è in mezzo alla natura, è fondamentale. Pensare di non attuare un follow-up a distanza di tempo significa attuare una formazione imponderabile e per certi versi invisibile. Partendo dal presupposto che e’ illusorio pensare di creare un isomorfismo con le attività organizzative, la presenza di esperti della formazione che sappiano dialogare con una solida teoria (cambiamento individuale e organizzativo, apprendimento nell’adultità, comportamento organizzativo, solo per citare alcune competenze) permette che le persone vengano sostenute nel “rincontro” con l’organizzazione, affinché possano capire fino in fondo le metafore agite.

A questo punto possiamo definire l’OTM in modo più organico come un modello formativo che ha l’obiettivo di far vivere ai partecipanti un’experiential learning: un’esperienza soggettiva e relazionale in cui le persone partendo dalla relazione con sé stessi migliorino le competenze di team building e di team working.