Psicologia dello sport in età evolutiva nella scherma

B-Skilled: psicologia dello sport e della performance Psicologia dello sport in età evolutiva nella scherma Torino scherma psicologia sportiva psicologia dello sport età evolutiva atleti adolescenti Obiettivo della relazione è individuare e analizzare le influenze dei comportamenti delle figure che ruotano attorno al giovane schermitore sullo sviluppo psicofisico dello stesso, attraverso gli studi svolti nell’ambito della psicologia dello sport. Per poterlo fare è dunque necessario porre l’accento sul contributo apportato dalla psicologia dello sport. Rispetto agli atleti in età adulta l’obiettivo a cui un intervento psicologico mira è quello di far corrispondere prestazione potenziale e prestazione reale, cercando di rendere autonomo l’atleta nella gestione dell’approccio mentale alla competizione o alla pratica sportiva. Rispetto invece ai bambini e quindi parlando del contributo della psicologia dello sport in età evolutiva, l’obiettivo primario è quello di aiutare il bambino/ragazzo – atleta a “giocare” con le potenzialità della sua mente, quello secondario è invece supportare tutte le figure che ruotano attorno al giovane atleta, creando un ambiente positivo dove egli possa esprimere tutte le sue risorse. A tal proposito è utile citare un’affermazione del celebre fisico Albert Einstein: “La scelta più importante che un bambino deve fare è decidere se l’ambiente in cui si trova è un ambiente amico o nemico”.

Scendendo maggiormente nello specifico del bambino/ragazzo che pratica sport vanno sottolineati gli aspetti di crescita ed intervento funzionali per le diverse caratteristiche legate alle differenti fasce d’età. Prima di farlo è però necessario definire lo sport come laboratorio formativo della struttura psico-fisica del bambino, grazie alle diverse capacità delle quali favorisce un graduale sviluppo: capacità psico-motorie, capacità relazionali, miglior controllo emotivo, strutturazione di una propria identità, aumento di sicurezza ed autostima. Le fasce d’età prese in considerazione sono quattro.

La prima (5-8 anni) identificata come “imparare divertendosi” è caratterizzata dal fatto che il bambino giocando scopre il suo corpo e le sue potenzialità di socializzazione con il mondo esterno: fondamentale è che l’apprendimento avvenga in modo ludico, senza strategie particolari ma da un modello, cercando di creare il giusto contesto. Nella seconda fascia (9-11 anni) chiamata “obiettivo: crescere”, diventano fondamentali le dinamiche di gruppo per garantire la formazione di regole e l’abitudine alla collaborazione, permettendo inoltre lo sbocciare della socialità e l’emulazione di un capo.
Nella fascia successiva (12-15 anni) denominata “studiare per essere vincenti” la pratica sportiva risulta ottimale per il miglioramento qualitativo della vita psicofisica degli adolescenti, favorendo la condivisione delle esperienze all’interno di un gruppo, permettendo di dare un ordine di importanza alle regole sociali che caratterizzano la condotta quotidiana.
Infine nella fascia d’età che va dai 15 ai 18 anni, “vincenti nella vita, vincenti nello sport”, lo sport diventa veicolo per la formazione di un’identità forte e stabile, per consolidare la propria autostima e per riuscire a controllare le emozioni al fine di gestire le situazioni.

Ma affinché questi presupposti possano realizzarsi, è necessario porre l’attenzione sulle figure che si relazionano con l’atleta, condizionandolo. Particolare importanza assumono in questo caso la famiglia e gli allenatori/istruttori. La famiglia condiziona l’atleta su almeno quattro aspetti: il rendimento sportivo, le possibilità tecniche, le aspirazioni e le scelte. Questo avviene principalmente attraverso quei messaggi che i genitori trasmettono ai figli nel momento in cui lo seguono durante la pratica dell’attività sportiva e che molto spesso sono caratterizzati da una spinta esasperata verso la vittoria o verso il non farsi male, a discapito del più funzionale dei messaggi che un bambino vorrebbe ricevere da un genitore: “vai e divertiti!”. In questo senso la famiglia riveste un ruolo importante per l’atleta, dato che determina in larga misura due aspetti psicologici fondamentali: il senso di sicurezza e la spinta all’autorealizzazione. Per quanto riguarda l’influenza dei tecnici, spunti importanti di riflessione per favorire uno sviluppo sano dell’atleta possono essere i seguenti: saper porre obiettivi sfidanti ma raggiungibili, saper guidare l’atleta a concentrarsi sulle cose essenziali dell’incontro, non dare troppe informazioni in gara (dato che è peggio che non darne nessuna), non concentrarsi sul trovare ed enfatizzare tutti gli errori ma trovare la strategia affinché gli errori non si ripetano più, dare poche informazioni in gara e centrate sulla risoluzione del problema, favorire la concentrazione durante la gara (evitando con la parola di distogliere l’atleta dall’obiettivo), imparare a dare i giusti feedback per migliorare l’apprendimento anche in caso di sconfitta, saper dosare i commenti “a caldo” e “a freddo”.

Questo contributo vuole essere solo uno spunto di riflessione che sottolinei il fatto che la formazione di un tecnico deve essere una formazione a 360° gradi, che contempli anche l’approccio psicologico all’allenamento. Speriamo dunque che gli organi preposti alla formazione dei tecnici non sottovalutino gli aspetti psicologici della formazione in quanto parte integrante del ruolo educativo che i maestri ricoprono nei confronti dei giovani atleti.