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La mente dei velisti solitari

Cercare di comprendere le risposte psicofisiologiche e le strategie di coping adottate dagli atleti che competono in condizioni ambientali estreme, come ad esempio i navigatori solitari, ha da sempre affascinato molti ricercatori.
Tuttavia esistono ad oggi pochi studi scientifici capaci di tracciare un profilo di ciò che accade nella mente di un atleta costretto a competere per diversi giorni consecutivi, in condizioni di isolamento, spesso alle prese con condizioni tecnico-tattiche molto difficili. E’ questo il caso dei velisti in solitario che affrontano competizioni transoceaniche di lunga durata.
Il motivo per cui questo genere di studi non è sempre così facile è imputabile a diversi fattori fra i quali non va dimenticato che le condizioni estreme in cui questi atleti si muovono richiedono degli strumenti di valutazione pratici e veloci, che l’atleta possa utilizzare in autonomia e che non incidano pesantemente, in termini di tempo, nella programmazione giornaliera già così intensa.
Questo studio nasce con lo scopo di utilizzare uno strumento di monitoraggio psicologico, che per le sue caratteristiche intrinseche, è facilmente utilizzabile da coloro che affrontano competizioni in condizioni estreme. Nel caso specifico si è monitorato il profilo psicologico di un’atleta che ha partecipato all’edizione 2009 della Transat 650, regata transoceanica in solitaria che parte dalle coste francesi per arrivare fino in Brasile. E’ stato realizzato attraverso una collaborazione internazionale fra psicologi che da anni studiano e lavorano con velisti di alto livello e vuole essere un incentivo a queste forme di collaborazione a distanza per promuovere una cultura psicologica che vada oltre i confini dei centri universitari.
Metodo
Partecipanti
Il soggetto esaminato è una donna di 41 anni alla sua prima partecipazione ad una regata transoceanica in solitaria, nella classe di serie. Il sogetto è stato esaminato nel corso della Transat 650 del 2009, regata internazionale che parte da LaRochelle (FR) e termina a Salvador de Bahia (BR), con tappa intermedia a Madeira, per una lunghezza complessiva di 4200 miglia nautiche. I partecipanti regatano su imbarcazioni di 6,5 m di lughezza (Mini 6,50), suddivisi in due categorie: prototipi e di serie. Il regolamento vieta qualsiasi utilizzo di apparecchiature elettroniche di supporto alla navigazione, così come il supporto medico e la comunicazione fra regatante e terra.
Anche le procedure di qualificazione per la regata sono estremamente rigide. La coppia skipper/imbarcazione, per potersi qualificare, deve dimostrare di aver percorso 2000 miglia, di cui 1000 in regata secondo il calendario di qualificazione predisposto per la manifestazione.
Nel caso specifico l’atleta ha integrato la sua preparazione tecnico-tattica-strategica con un percorso di ottimizzazione della prestazione mentale, iniziato cinque mesi prima della partenza.
Il monitoraggio è stato eseguito su 29 giorni di prestazione; di cui i primi 8 hanno costituito la prima tappa della regata e i restanti 21 la seconda.
Misurazioni
Lo strumento di autovalutazione utilizzato in questo studio è stato realizzato e sperimentato con altri velisti in solitaria dai ricercatori (Weston et al, 2009) del Sport and Exercise Science Department, dell’Università di Portsmouth, UK. Il Solo Ocean Psychological Questionnaire (SOPQ) è stato sviluppato per monitorare gli stati psicologici giornalieri degli atleti, durante la navigazione quotidiana. Il questionario è realizzato in forma digitale oppure, come in questo caso, può essere consegnato in forma cartacea all’atleta che provvede alla compilazione giornaliera.
Il SOPQ è composto da due sezioni: una prima parte informativa generica (miglia percorse, ore spese per lavori in barca, ore di sonno giornaliere, incidenti/malesseri) e una seconda parte più analitica dove vengono prese in esame 14 variabili differenti.
Questa seconda parte ha lo scopo di monitorare la performance dell’atleta nelle ultime 24 ore chiedo un autovalutazione su 14 scale bipolari, graduate su scale likert (es. da 1= molto felice a 10 = molto depresso). I creatori del SOPQ hanno selezionato le 14 variabili partendo da un’analisi della letteratura presente sull’argomento.
Gli items presenti nel questionario, articolati su scale bipolari, sono:
- qualità del sonno (ben riposato – molto deprivato di sonno)
- qualità dell’alimentazione (ben alimentato – scarsamente alimentato)
- depressione (molto felice – molto depresso=
- soddisfazione (soddisfatto – molto infastidito)
- senso di solitudine (per nulla solo – estremamente solo)
- attività mentale (mentalmente molto attivo – mentalmente estremamente affaticato)
- attività fisica (fisicamente al 100% – fisicamente esausto)
- adattamento all’ambiente fisico (a disagio nell’ambiente – perfettamente a mio agio nell’ambiente)
- ansia (per nulla ansioso – estremamente ansioso)
- soddisfazione dei risultati (infelice dei risultati – felice dei risultati)
- calma/rilassatezza (calmo/rilassato – estremamente stressato)
- determinazione nel raggiungimento dei risultati (per nulla determinato nella riuscita – estremamente determinato nella riuscita)
- piacere nella pratica della vela in solitaria (forte avversione per la vela in solitaria – veramente appagato della vela in solitaria)
- livello delle condizioni ambientali (condizioni ambientali veramente piacevoli – condizioni ambientali orrende)
Da notare che nelle scale adattamento all’ambiente, felicità per i risultati, determinazione alla riuscita e passione per la vela i punteggi sono invertiti rispetto alle altre scale; pertanto un valore numerico tendente al minimo rappresenta uno stato negativo mentre un punteggio tendente al 10 rappresenta uno stato positivo.
Al termine della competizione e dell’analisi statistica descrittiva dei dati raccolti dall’atleta, viene condotta un’intervista semi-strutturata tra atleta e psicologo sportivo in modo da poter rilevare delle alcune informazioni di tipo qualitativo, da integrare con i dati oggettivi.
L’intervista ha tre scopi principali:
innanzitutto, rendere consapevole l’atleta delle fluttuazioni degli stati psicologici durante l’intera durata della competizione, evidenziando aree di miglioramento e punti di forza;
in secondo luogo, favorire la riflessione dell’atleta su quanto accaduto cercando correlazioni tra i dati emersi e eventi esterni accaduti in regata (es. livello di insoddisfazione con perdita di punti in classifica);
in conclusione, sulla base di quanto emerso impostare un lavoro di preparazione mentale oggettivo e calibrato sulla persona, in previsione di partecipazione ad eventi futuri simili.
Conclusioni
Con questo lavoro si è voluto presentare, attraverso l’applicazione ad un caso reale, uno strumento di autovalutazione della performance sportiva, molto adatto per gli atleti che si trovano a competere in condizioni estreme, il SOPQ. Lo strumento è nato con particolare riferimento agli atleti che praticano la navigazione in solitaria ma può essere facilmente adattato ad altri sport “estremi”.
Lo strumento si è dimostrato particolarmente valido in quanto è di rapida e semplice somministrazione e richiede all’atleta non più di cinque minuti al giorno per la sua compilazione. Il vantaggio nell’utilizzare questo strumento per l’atleta deriva dal fatto di poter avere una mappatura oggettiva e puntuale della prestazione sportiva nella lunga durata, evitando le distorsioni cognitive e le dimenticanze che spesso rendono il de-briefing post-regata alterato. La possibilità di avere lo strumento sia in forma cartacea che in formato elettronico va incontro alle diverse esigenze degli atleti.
Questo strumento permette, attraverso semplici analisi descrittive, un bilancio oggettivo di punti di forza e aree di miglioramento che l’atleta ha manifestato durante la regata esaminata, offrendo così un valido spunto da cui partire per organizzare la preparazione per eventi successivi. Inoltre l’atleta, dopo una breve formazione, può eseguire la raccolta e l’analisi dei dati in autonomia, potendo così confrontare performance differenti e avere un feedback sui miglioramenti della prestazione ottenuti con l’allenamento. Per coloro che desiderano impostare un lavoro di allenamento mentale questo strumento può rappresentare un buon punto di partenza per definire gli obiettivi di lavoro in un modo più puntuale basandosi sull’analisi di performance reali (e non solo rievocate).
L’area di miglioramento di questo strumento è, ad oggi, il suo impiego limitato: in parte a causa della recente creazione e in parte dovuto al campione di atleti relativamente esiguo che pratica questa specialità. Manca pertanto ancora un database completo su cui confrontare le singole prestazioni di un atleta con un campione omogeneo di riferimento. La speranza è che, anche grazie a lavori di questo, tipo si possa diffondere questo approccio e sempre più atleti possano beneficiare di uno strumento che ben si colloca all’interno di un programma di allenamento psicofisico.
Bibliografia
- Bennet, G. (1973). Medical and psychological problems in the 1972 singlehanded transatlantic yacht race. The Lancet, 2, 747-754.
- Butler, R.J., & Hardy, L. (1992). The performance profile: Theory and application. The Sport Psychologist, 6, 253- 264.
- Bounous G., (2010), Con la testa in alto mare. Magenes Editori, (in press)
- Lewis, H.E., Harries, J.M., Lewis, D.H., & de Monchaux, C. (1964). Voluntary solitude: Studies of men in a singlehanded transatlantic sailing race. The Lancet, 1,1431-1435.
- MacArthur, E. (2006). Race against time. London: Penguin Books.
- Weston, N.J.V., Thelwell, R.C., Bond, S., & Hutchings, N. (2009). Stress and coping in single handed around the world ocean sailing. Journal of Applied Sport Psychology, 21, 460-474.
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Perchè lo fai?

Cliente: “Dottoressa, sento di aver bisogno di aiuto”
Psicologo: “In che cosa pensa che io possa aiutarla?”
Cliente: “Ho paura di non farcela…”
Psicologo: “Paura di farcela a fare, cosa?”
Cliente: “Voglio attraversare l’oceano con la mia barca
a vela, da sola. E non l’ho mai fatto prima. Questo mi
crea qualche preoccupazione…”
Se lo psicologo in questione fosse uno psicologo clinico probabilmente la successiva domanda sarebbe stata: “Perché sente il bisogno di attraversare l’oceano da solo??!”.
Ma se lo psicologo è uno psicologo sportivo si limiterà semplicemente ad esclamare: “WOW!”.
Wow… perché ritengo che non ci sia nulla di più entusiasmante per uno psicologo sportivo di avere la possibilità di osservare la mente di un atleta in condizioni “estreme”. E la navigazione in solitaria può rientrare tranquillamente nella categoria di esperienze che mette a dura prova la mente umana. E’ un’esperienza che obbliga l’atleta a confrontarsi con i propri limiti, in un ambiente spesso ostile.
Mente, corpo, ambiente e imbarcazione devono dunque lavorare in sincrono per riuscire a portare a termine la prestazione.
Nella mia carriera ho avuto la fortuna di seguire alcuni velisti solitari e di intervistare atleti solitari di altre discipline per cercare di capire quali aspetti della psicologia applicata allo sport fossero più utili per questa particolare classe di sportivi. In questo articolo mi soffermerò solo su uno dei vari aspetti che caratterizzano la mentalità dei navigatori solitari: la motivazione.
Ciò che mi ha da subito incuriosito è la risposta che gli atleti mi forniscono alla domanda: “Perché hai deciso di fare questa esperienza da solo/a?”. Dalle risposte raccolte nella mia personale esperienza ho suddiviso i navigatori solitari in due grandi categorie che non vogliono sicuramente escludere altre possibilità ma sicuramente sono le più rappresentative.
Da un lato troviamo quelli che ho definito i ricercatori. Atleti che, nella pratica in solitaria, ricercano un nuovo contatto con sé stessi, con l’ambiente e con la pratica sportiva. Quasi come se fosse un’esperienza estatica, meditativa, in cui la vera essenza dell’esperienza non è l’arrivo ma il viaggio stesso. A tal proposito, bellissima è stata l’intervista che ho potuto realizzare con Alex Bellini, atleta che vanta la traversata a remi del Mediterraneo/Atlantico e del Pacifico. Dalle sue parole è facile comprendere come la motivazione primaria di un’esperienza tanto dura come una traversata di un oceano in solitario è, in primo luogo, un viaggio alla scoperta dei propri limiti. Un’esperienza da cui uscirne cambiati, un’esperienza di crescita e apprendimento, che passa attraverso un’esperienza unica: un’esperienza sportiva.
Dall’altro lato troviamo invece gli atleti che ho definito gli agonisti. Per questi atleti la motivazione primaria è riuscire in un’impresa unica, riuscire ad ottenere un risultato straordinario che possa, in qualche modo, essere ricordato. La ricerca della sfida con se stessi e con gli altri, in alcuni casi anche la ricerca del record.
Queste due tipologie di motivazione possono anche sfumare l’una nell’altra ma senza dubbio devono essere assolutamente totalizzanti per riuscire in un’impresa del genere. Dico totalizzante perché gli atleti che ho visto in fase di preparazione di un’impresa simile erano completamente assorti da questo obiettivo. Nei mesi precedenti, ogni azione era finalizzata all’essere pronti per affrontare l’evento. Ogni minuto era speso per preparare la barca, le strumentazioni e sé stessi nel modo migliore possibile.
Se così non fosse, ritengo sarebbe estremamente difficile per queste persone portare a termine l’impresa.
Cito nuovamente Alex Bellini, che nella sua ultima impresa ha trascorso 294 giorni da solo sulla sua barca a remi di circa 7 metri: “L’ho fatto perché avevo fame… avevo fame di questa avventura… Se non hai fame o non ne hai tanta rischi di trovarti a metà strada e non riuscire a fine il piatto. Nel mio caso sarebbe significato trovarsi in mezzo all’oceano, a circa 1 settimana di distanza dai soccorsi più vicini e non avere più voglia di andare avanti… Ma se hai fame, continui…”
E’ bellissima la metafora utilizzata da Alex perché in psicologia la fame viene identificata come un bisogno primario, capace di muovere l’essere umano fino al suo completo soddisfacimento. I navigatori solitari che ho incontrato erano tutti affamati, talmente affamati da essere capace a continuare a motivarsi anche quando una voce dentro (e a volte neanche tanto interna!) diceva loro: “Ma chi te lo fa fare???”.
La motivazione per i navigatori solitari deve pertanto essere “totalizzante”, quasi fosse un reale bisogno fisiologico. Questa è l’unica possibilità che hanno per portare a termine le loro imprese che per la maggior parte delle persone normali vengono definite “estreme”. C’è però un punto oltre il quale la motivazione diventa ossessione e può portare l’atleta a mettere a rischio sé stesso e la propria vita. E’ il momento, difficilissimo, in cui il navigatore deve decidere se proseguire verso il proprio obiettivo o porre fine alla propria impresa poiché le condizioni interne o esterne si sono modificate a tal punto da creare un rischio reale alla persona. Il grande sportivo deve essere in grado quindi di porre un freno alla propria spinta motivazionale sapendo valutare costi/benefici delle proprie azioni, arrivando addirittura a rinunciare, a poche miglia dall’arrivo. Questa è stata l’esperienza di Alex che ha concluso la sua impresa nel Pacifico a meno di un giorno dall’arrivo. Come lui, Simone Moro, alpinista, che ha interrotto la salita al Broad Peak a soli 200 metri dall’arrivo. E come loro tantissimi sono gli esempi di atleti che hanno inseguito i loro obiettivi con strenuante dedizione per poi dovervi (o sapervi) rinunciare ad un soffio. Questo passaggio è ciò che distingue la motivazione, che porta al confine dei propri limiti, dall’ossessione, che porta a superarli, a volte senza possibilità di ritorno.