Verso l’Empowerment

B-Skilled: psicologia dello sport e della performance Verso l'Empowerment Torino psicologia aziendale leadership formazione azienda empowerment Ciò che il costrutto di empowerment porta con sé di innovativo è soprattutto il richiamo alla necessità di una nuova concezione e gestione del potere da parte dei manager. I problemi relativi al potere ricoprono un ruolo centrale nelle organizzazioni che hanno vissuto, vivono e vivranno un processo di cambiamento strategico e organizzativo (compreso il process re-engineering).

Naturalmente ognuno di noi ha una concezione di potere che, nella maggior parte delle rappresentazioni mentali, rimanda all’idea di uno “scettro”, ma l’esperienza di empowerment non comporta alla rinuncia di uno scettro e ai diritti ad esso collegati, bensì una rinuncia all’unilateralità ed esclusività di tali diritti. Del resto l’origine del termine rimanda alla concezione dello scettro: si era potenti (la latino possum) se si era possidenti. Il verbo possedere deriva da “potere” e “sedere”, ovvero sedersi in un posto e occuparlo. Essere potenti è quindi avere possesso, ovvero occupare posizioni e territori che rappresentano i simboli del potere.

Dal nostro punto di vista il potere dell’empowerment è capacità di azione: capacità di generare le attività necessarie, mobilitare le risorse, ottenere e utilizzare ciò che è indispensabile per mantenere o far evolvere i sistemi sociali organizzati nei quali gli attori sono impegnati e ai cui obiettivi di sopravvivenza e sviluppo sono fortemente interessati.

Al potere “autoconservativo” della propria identità che massifica e pone l’altro in una condizione di soggezione e mortificazione, viene contrapposta il potere buono dell’empowerment condividere il potere, trasferirlo, delegarlo. Una domanda a questo punto sorge spontanea: ma il manager/leader quindi rinuncia ad una parte del suo lavoro, esportandolo ai suoi collaboratori? Non siamo d’accordo con questa “visione” di empowerment unilaterale e unidirezionale.

La posizione di empowerment che condividiamo è intersoggetiva e interazionista: il potere che si crea e si moltiplica, non quello che viene elargito o sottratto; il potere che accresce la possibilità di espressività individuale, non quello che limita la libertà professionale, il potere come risorsa di cooperazione e di scambio tra pari, il potere che non nega la conflittualità, le opposizioni e le polarità ma che intende trascenderle, cercando reciprocità ed equilibrio non la pace a tutti i costi, senza produrre né dominio su una parte. L’empowerment non è quindi un processo di sottrazione ai più potenti per trasferirlo ai più deboli, secondo un modello “Robin Hood”, ma un processo che presuppone l’adesione ad un pattern di valori di valori spesso profondamente contrastante il sistema di valori sedimentato dalla storia organizzativa. In definitiva l’empowerment propone una rivoluzione e raccomanda di non volere fare una rivoluzione senza rivoluzionare alcuni principi di fondo e in particolar modo la concezione del potere che deve essere sottoposta ad una profonda revisione.

Sicuramente un processo di business process re-engineering oltre ad una revisione di tipo strutturale prevede anche un ampliamento delle competenze messe in atto passando attraverso un processo di “leadership manageriale”. Competenze che per forza di cose prevedono una presenza psicologica oltre che prettamente manageriale: l’arte del dialogo (come messo in evidenza da uno di voi in occasione dell’ultimo incontro) diventa un elemento centrale di ogni trasformazione organizzativa, e va al di là di una buona comunicazione. Il “dialogo” infatti spinge a entrare in contatto con gli assunti impliciti di ciò che si dice, ovvero i processi di pensiero e il ruolo delle esperienze passate nel forgiare ciò che percepiamo e pensiamo (aspettative). L’obiettivo del dialogo è mettere in grado il gruppo di raggiungere un più elevato livello di consapevolezza e di creatività attraverso la graduale costruzione di un sistema di significati condivisi e di un comune processo di pensiero. Non si tratta “solo” di ascolto “attivo” dei propri e altrui sentimenti promosso dalle relazioni umane bensì dall’analisi attenta dei propri e altrui assunti cognitivi. Le persone che lavorano nei processi di reingegnerizzazione hanno necessità di maggiori “poteri”. In quanto membri di team di processo non solo si permette loro ma si richiede loro di pensare e di interagire, di esprimere giudizi e di prendere decisioni.

In definitiva l’emancipazione che prospettiamo sappiamo non essere né una ricetta facile né affidabile a un ricettario pronto e impacchettato neanche dal più grande manager americano, quando diciamo che è uno “stato mentale” cerchiamo di spiegare che l’empowerment può essere realizzato solo attraverso un diverso modo di pensare al ruolo dell’impresa, di impostare le relazioni tra le persone, di concepire la natura degli esseri umani e il potere, dove vivere una sicurezza non tanto assicurata dal posto di lavoro quanto da quella psicologica derivante dal fatto di vivere un’esperienza anche faticosa e rischiosa, ma attraversata da tensioni vitalistiche che offrono l’occasione di esprimersi creativamente, di appartenere a se stessi oltre che all’impresa.

In conclusione ciò non vuole essere di nuovo un ricettario: noi tutti non vogliamo rimanere “dentro” l’empowerment ideologizzato, senza riuscire a guardarlo dal di fuori e a farsi una domanda di fondo che è la seguente: l’equazione, in qualche misura, data per scontata, della positiva relazione causa-effetto (ovvero maggiore empowerment=maggiore efficacia,efficienza, produttività e soddisfazione del cliente e del dipendente) è verificata e verificabile sempre? Secondo la nostra filosofia è importante non cedere alle lusinghe di una “one best way” dalle verità universali, ma di nuovo e costantemente (e coerentemente con la filosofia dell’empowerment) con-dividere e co-struire insieme un modello che sia il migliore per la realtà e la cultura organizzativa.

E soprattutto creare uno stato mentale di empowerment nei collaboratori in cui anche loro, in una visione dell’organizzazione a 360 gradi, creino le condizioni per diffondere l’empowerment a livello verticale e a livello orizzontale.

Bibliografia

C.Piccardo, Empowerment, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995