Competizione: un bene o un male per i giovani sportivi?

È giusto che i giovani atleti affrontino gare e competizioni anche in tenera etá oppure sarebbe meglio evitare la competizione per evitare loro esperienze negative che possono impattare sulla loro autostima? Questo è sicuramente tema sempre molto caldo in ambito sportivo che vede spesso posizioni fortemente contrapposte.

Dal nostro punto di vista è molto importante che l’atleta possa essere esposto alla competizione anche nelle prime fasi della carriera sportiva. Ovviamente questo deve essere accompagnato da un processo di insegnamento “sano” alla competizione da parte degli allenatori e della famiglia dei giovani atleti.

Quando i bambini sono più consapevoli della concorrenza, sono in grado di sviluppare aspettative più realistiche rispetto a se stessi. Il confronto con gli avversari permette di sviluppare un approccio umile alla competizione perchè hanno parametri di riferimento più oggettivi per valutare la propria prestazione. Il confronto permette a loro di maturare la consapevolezza che devono lavorare sodo se vogliono competere con chi, in questo momento, mostra capacità superiori alle loro. Ma allo stesso tempo può essere un’ottima occasione per valutare il proprio livello di apprendimento e le proprie capacità. L’esperienza agonistica permette anche ai giovani atleti di imparare a discernere quali abilità devono essere ancora acquisite, quali vanno potenziate e quelle che sono già consolidate.

Sebbene l’esposizione alla competizione sia importante, a volte può avere effetti collaterali negativi. Per alcuni atleti, essere esposti a una competizione più dura può danneggiare la loro autostima. Una volta che gli atleti scoprono di non essere così bravi come pensavano di essere potrebbero scoraggiarsi. Potrebbero iniziare a credere di non essere abbastanza bravi per realizzare i loro sogni. Questo non solo può ridurre la loro motivazione ad allenarsi, ma può anche danneggiare le loro prestazioni in gara e in allenamento. Questo aspetto tuttavia è fortemente influenzato dall’approccio che l’allenatore e la famiglia hanno alla competizione. Eccesso di aspettative, critica non costruttiva e orientamento esclusivo al risultato più che alla prestazione sono i fattori principali che rendono l’esposizione alla competizione un’esperienza “traumatica” per i giovani atleti.

L’obiettivo di esporre i giovani atleti a una competizione più dura è aumentare la loro motivazione, umiltà e la conoscenza di sè, pur mantenendo la loro autostima. Tutto ciò è possibile anche grazie ad una esposizione graduale a sfide sempre più impegnative ma comunque raggiungibili: a mano a mano che il giovane avrà sviluppato il giusto approccio mentale alla gara sarà possibile aumentare il livello di sfida.

In conclusione, dal nostro punto di vista, evitare l’esposizione alla competizione non aiuta il giovane atleta a sviluppare il giusto approccio mentale alle sfide che incontrerà non soltanto nello sport, ma nella vita in generale. Accompagnarlo in modo corretto e usare la competizione per allenare abilità mentali fondamentali per affrontare le situazioni critiche è il compito di ogni adulto di riferimento ed è uno degli aspetti su cui, come psicologi dello sport, lavoriamo.